La nostra terra vale piu del carbonio

L'accordo di Parigi ha richiesto alle 196 Parti della Convenzione sul Clima dell'ONU di limitare l'aumento della temperatura a +2° o +1,5° C al di sotto dei livelli preindustriali. Mentre la COP21 aveva visto un alto livello di mobilitazione legato all'adozione di un accordo internazionale, la COP 22 ha invece decisamente ricevuto meno attenzione. Tuttavia le poste in gioco restano significative. Nella fretta, la COP 22, definita "COP dell'azione" o "COP dell'agricoltura", rischia di adottare numerose soluzioni errate nel campo dell'agricoltura.

Sorin Mutu, Flickr

Lo scorso maggio, nella sede centrale della Convenzione sul Clima a Bonn, i dibattiti i quest’ambito hanno rappresentato fonte di tensioni tra i Paesi. Essi hanno accuratamente evitato la questione fondamentale della differenziazione tra i modelli agricoli in base al loro impatto sul cambiamento climatico e alla loro capacità di provvedere alla sovranità alimentare per le persone. Allo stesso tempo, alcune iniziative volontarie fuori dai canali di negoziazione ufficiali, in particolare nel settore privato, sono state ampliate e potrebbero essere incorporate nelle future politiche pubbliche dei Paesi.

Anche se il 94% dei Paesi nomina l'agricoltura all'interno delle proprie strategie di contrasto al cambiamento climatico, l'Accordo di Parigi non menziona neanche una volta la parola "agricoltura". Bisogna leggere tra le righe per capire cosa c'è veramente in gioco. A nascondersi sotto l'uso dell'espressione "deposito di carbonio" c'è la questione altamente politica dell'agricoltura. E' vero che il suolo svolge un ruolo importante nel sequestro di CO2 (anidride carbonica), fatto che lo rende un vero e proprio "deposito di carbonio", al pari delle foreste. Ma questo non è l'unico ruolo del suolo, specialmente quando si parla di terreni agricoli, centrali per la sovranità alimentare. Purtroppo il suo utilizzo (cui ci si riferisce con la dicitura "settore suolo") nel contrasto al cambiamento climatico rappresenta ad oggi un'enorme opportunità per coloro che promuovono soluzioni sbagliate e funge da scusa all'inazione pubblica.

Nella ricerca di un equilibrio tra emissioni ed assorbimento da parte dei depositi di gas ad effetto serra, l'accordo di Parigi ha sancito il principio della compensazione per affrontare la crisi climatica. Tale nozione in realtà non si traduce nella diminuzione delle emissioni, ma nel fatto che le emissioni e l'assorbimento possono annullarsi a vicenda. Quest’approccio è già stato avviato con le foreste attraverso il meccanismo altamente controverso del REDD+ e, in misura maggiore, si sta ora applicando alla terra coltivabile, il nuovo Eldorado del carbonio. Va ricordato che, a differenza delle emissioni evitate, l'isolamento del carbonio naturale è reversibile ed ha un ciclo di vita limitato. Piuttosto che tentare di ridurre drasticamente le emissioni di gas ad effetto serra, l'agricoltura si sta trasformando in un'unità di conto che permette alle emissioni di permanere o addirittura di aumentare. Di conseguenza, anche se duramente condannate dalla società civile e dai movimenti sociali, sono sorte diverse iniziative intorno ai dibattiti sul clima che a molti appaiono come soluzioni sbagliate. Questo è quanto riguarda, ad esempio, la climate- smart agricolture e la sua alleanza globale (GACSA), che, in assenza di criteri chiari, propone un equilibrio tra la promozione dell'agro-ecologia e l'utilizzo di sementi geneticamente modificate e dei loro rispettivi erbicidi. Inoltre, il 60% dei membri del settore privato della GACSA è rappresentato da aziende del settore agricolo e dei pesticidi. Quest’alleanza e la sua base teorica non sono nient'altro che un guscio vuoto in cui le multinazionali agroindustriali possono nascondersi per continuare ad industrializzare l'agricoltura a scapito dei piccoli agricoltori. Allo stesso modo l'iniziativa 4 per 1000 non riesce ad operare scelte chiare nella promozione della transizione nell'ambito dei sistemi agricoli. Il suo approccio disorganico verso il problema non tiene conto di considerazioni che vanno oltrel'isolamento del carbonio, come ad esempio, l'uso di erbicidi. Salvo che non si attui una vera e propria rivisitazione dei modelli agro-industriali, altamente dipendenti dai prodotti chimici e basati sulle esportazioni, tali iniziative non trovano assolutamente alcun posto nella lista delle soluzioni.

Oltre alla questione del modello agricolo vi è anche il rischio di pressione sulla terra e di "finanziarizzazione" delle risorse naturali. Pertanto stabilendo un valore, per mezzo della compensazione, della terra coltivabile vista come strumento nella lotta contro i cambiamenti climatici, si aumenta la pressione sulla stessa. In questo modo i piccoli agricoltori, prime vittime del cambiamento climatico, corrono il doppio dei rischi. Se è necessario incoraggiare gli investimenti agricoli al fine di isolare più carbonio, specialmente provenienti da fonti private, saranno necessarie distese di terra molto più grandi, aumentando di conseguenza il rischio di accaparramento della terra. Questo pericolo verrebbe moltiplicato se alla corsa per la terra si sommassero meccanismi legati alla carbon finance. Numerosi studi su analoghi meccanismi sviluppati per le foreste (come il REDD+) hanno già dimostrato i rischi di un approccio che pone scarsa attenzione alla tutela dei diritti umani. Quest’approccio di contrasto al cambiamento climatico aumenta ampiamente le possibilità di mettere in pericolo i diritti dei piccoli agricoltori, le conoscenze che hanno acquisito, la sovranità alimentare e l'integrità dell'ecosistema.

Le nostre organizzazioni condannano questa corsa verso la compensazione per affrontare la crisi climatica. Solo una riduzione immediata e drastica dei gas ad effetto serra impedirà un aumento drammatico negli impatti di questa crisi, anche se si tratterebbe ancora soltanto di un modo per limitarli. La terra coltivabile non può diventare uno strumento di contabilità per la gestione della crisi climatica. Essa è fondamentale per circa un miliardo di persone nel mondo che si stanno impegnando per la sovranità alimentare, un diritto inalienabile di coloro che già ne hanno subito abbastanza i danni. Sosteniamo la sopravvivenza di un'agricoltura adatta ad affrontarele sfide agricole già ampliate dalla crisi climatica. Tali metodi di coltivazione, basati sull'agro-ecologia contadina, oltre a rappresentare un bagaglio di buone pratiche, implicano un tipo di agricoltura sociale ed ecologica radicata all'interno del territorio nazionale ed un rifiuto della "finanziarizzazione" della Natura.

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